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Se l’inquilino non paga l’affitto e il condominio: dalla diffida allo sfratto

Durante la locazione possono verificarsi alcuni problemi tra proprietario e conduttore non prevedibili al momento della sottoscrizione dell’accordo.

Due i più frequenti: il mancato pagamento del canone d’affitto e delle spese condominiali ordinarie (accessorie), che di norma sono a carico dell’inquilino. Riguardo al canone, quando le parti firmano il contratto, è specificato con che cadenza (solitamente mensile) il conduttore deve versare al locatore il dovuto.

La legge consente, nelle sole locazioni abitative, che l’inquilino possa tardare al massimo 20 giorni rispetto a quanto concordato e, di conseguenza, entro quel lasso di tempo il proprietario non può fare nulla, se non semplici solleciti. Al ventunesimo giorno, se la morosità persiste, il locatore può inviare una diffida di pagamento, spedita mediante posta raccomandata con ricevuta di ritorno o pec: se l’inquilino persevera nell’inadempienza, il locatore, con l’ausilio di un legale, è libero di avviare le pratiche per lo sfratto, con l’avvocato che notifica al conduttore l’intimazione di sfratto per morosità, riportante anche la data dell’udienza che si terrà dinanzi al giudice.

In quell’occasione l’inquilino ha due opzioni: pagare gli arretrati, gli interessi e le spese legali, continuando a usufruire dell’immobile fino alla scadenza del contratto, oppure chiedere il termine di grazia che gli consente il pagamento a 90 giorni.
Alla seconda udienza (udienza di verifica) se il conduttore paga il dovuto la locazione continua, altrimenti il giudice può emettere la convalida di sfratto e, se richiesto, un decreto ingiuntivo per il pagamento degli affitti e spese e relativi interessi: l’autorità indica la data entro la quale l’inquilino deve liberare l’immobile e le somme che il moroso è tenuto a versare al proprietario.

Qualora i provvedimenti non vadano a buon fine, il locatore è legittimato a chiedere la procedura di esecuzione forzata. Dopo il preavviso di sloggio, un ufficiale giudiziario si reca fisicamente nell’appartamento e, anche con l’ausilio delle forze dell’ordine, obbliga il conduttore a liberare i locali.
L’iter normativo per sfrattare un inquilino inadempiente è definito dalle norme ma in pratica liberare un alloggio può risultare assai difficile, con dispendio di tempo e denaro.

Inoltre, in molti casi l’impossibilità a pagare da parte del conduttore è dovuta a motivi che non dipendono dalla sua volontà.

Si pensi, ad esempio, alla perdita del lavoro e alla repentina e consistente riduzione del reddito familiare. Per venire incontro agli inquilini in difficoltà e alla cosiddetta morosità incolpevole, sono previsti contributi distribuiti alle Regioni e Provincie autonome di Trento e Bolzano, messi a disposizione dei singoli Comuni.

Questi ultimi – a determinate condizioni (valore dell’Isee entro una soglia stabilita, contratto di locazione regolarmente registrato, documentazione attestante il calo del reddito) – offrono un contributo economico a evitare lo sfratto. Sono anche previste procedure di graduazione dello sloggio, in un’ottica di “accompagnamento sociale” delle famiglie disagiate sottoposte a sfratto.

L’altro problema che si verifica con frequenza in condominio riguarda il pagamento delle spese condominiali ordinarie.

Di norma il locatore si fa carico delle spese di manutenzione straordinaria mentre spetta al conduttore pagare quelle comuni ordinarie.

Nel caso in cui le parti abbiano sottoscritto un contratto di locazione a canone libero, è possibile accordarsi liberamente sul pagamento delle spese, mentre se il contratto è a canone concordato occorre applicare i criteri di ripartizione previsti dalla tabella D allegata al Decreto ministeriale 16 gennaio 2017.

Qualora l’inquilino non versi all’amministratore la quota di spese spettante, questi può rivalersi sul proprietario dell’immobile, che deve saldare il debito con il condominio. Solo in un secondo momento il locatore potrà rivalersi sul conduttore moroso.

Strada stretta per chi prende in affitto e scopre «difetti»

Può succedere – dopo avere sottoscritto il contratto di affitto – che l’inquilino si accorga della presenza di alcuni abusi edilizi e “difetti” all’interno dell’immobile.

Per quanto concerne i primi, è bene precisare che il contratto di locazione è un accordo tra privati che non trasferisce la proprietà, ma solo la detenzione. Di conseguenza – in presenza di irregolarità edilizie (veranda non condonata, assenza di antibagno, altezza minima dei locali non a norma e altro) – l’inquilino non rischia nulla, essendo onere del proprietario consegnare e mantenere i locali in stato conforme all’uso. Diversamente – qualora dovessero verificarsi incidenti che coinvolgano chi occupa l’alloggio o soggetti terzi – il locatore ne risponderebbe dinanzi la legge, sotto il profilo civile e anche penale.
In caso di locazione commerciale – ove i locali dell’immobile siano giudicati inagibili e il Comune ponga un divieto di utilizzo – l’inquilino è legittimato a chiedere la risoluzione del contratto, in quanto impossibilitato ad esercitare l’attività.
Più complessa la situazione dell’immobile in cui sono presenti dei vizi. Il Tribunale di Milano (sentenza 10739/2016) ha osservato che chi occupa un alloggio in affitto non può sospendere unilateralmente il pagamento del canone di locazione, anche nel caso in cui si verifichi una riduzione di godimento dell’immobile, dovuto a vizi e malfunzionamento degli impianti. In quell’occasione il giudice meneghino ha accolto la domanda di sfratto per morosità avanzata dalla proprietaria dell’immobile, obbligando il conduttore a saldare i canoni arretrati.

Nello specifico, l’inquilina aveva deciso di non pagare più l’affitto (lamentando, fra le altre cose, il malfunzionamento del condizionatore e del sistema di scarico del bagno) appellandosi all’articolo 1460 del Codice civile, secondo cui «nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria».

La proprietaria sarebbe quindi venuta meno a quanto disposto dall’articolo 1575 del Codice, che obbliga il locatore a «consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione».

Per il giudice, essendo il pagamento del canone di locazione la principale obbligazione del conduttore, non è consentito a quest’ultimo sospendere unilateralmente il pagamento nel caso in cui si verifichi una riduzione del godimento dell’immobile locato, mentre la sospensione è legittima nella sola ipotesi in cui venga integralmente meno la controprestazione in capo al locatore.
Due anni più tardi, il Tribunale di Roma (sentenza 18397/2018) ha chiarito che il conduttore che accetta di firmare un contratto d’affitto per un immobile, sapendo che lo stesso è affetto da vizi, deve patirne le eventuali conseguenze e non può rivalersi sul locatore.

L’articolo 1578 del Codice civile prevede che «se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili. Il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati da vizi della cosa, se non prova di avere, senza colpa, ignorato i vizi stessi al momento della consegna».
Il giudice romano ha applicato il cosiddetto “principio di autoresponsabilità” implicito nell’articolo 1578, comma 1, del Codice civile, secondo il quale nel caso in cui il conduttore abbia accettato di prendere in locazione una cosa che sapeva essere affetta da vizi o non ha usato quel minimo di diligenza sufficiente a scoprirli deve patirne le conseguenze.

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