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Residenza fiscale, Come gestire la casistica di acquisto/perdita della residenza nel corso dell’anno?

Qual è la disciplina per il soggetto che risiede in più stati? Attraverso alcuni esempi, chiariamo l’applicazione pratica del concetto di residenza fiscale.

L’art. 2, commi 1 e 2 del TUIR stabilisce la soggettività passiva IRPEF dei contribuenti e asserisce che sono considerati “soggetti passivi d’imposta le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice Civile”.

La residenza è “il luogo in cui una persona ha la dimora abituale” (art. 43, comma 2 c.c.); è quindi rappresentativa di una situazione di fatto, in quanto si fonda sulla permanenza in un dato luogo (elemento oggettivo) e sull’intenzione del soggetto di stabilire la propria dimora (elemento soggettivo).

Ai fini fiscali, la residenza (intesa come iscrizione anagrafica, domicilio o residenza ai sensi del Codice civile) deve verificarsi per la “maggior parte del tempo”.

Con tale espressione si intende la permanenza per un periodo minimo di 183 giorni, anche non in maniera continuativa. Così facendo, si verificherebbe “la sussistenza di un legame effettivo e non provvisorio del soggetto con il territorio dello Stato, tale da legittimare il concorso alle spese pubbliche in ottemperanza ai doveri di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione” (C.M. 304/E del 2 dicembre 1997).

Ai fini del conteggio dei giorni all’estero, la C.M. 201/E del 17 agosto 1996 afferma che bisogna utilizzare il criterio della effettiva presenza fisica.

A tale riguardo rilevano:

  • la frazione di giorno;
  • il giorno di arrivo e di partenza;
  • i sabati e le domeniche se vengono trascorsi nello Stato in cui l’attività viene esercitata;
  • gli eventuali giorni festivi trascorsi nel territorio italiano prima, durante e dopo l’attività lavorativa;
  • i periodi di pausa durante l’attività lavorativa trascorsi nel territorio italiano.

La normativa italiana non contiene una regola che disciplini la casistica di acquisto/perdita della residenza nel corso dell’anno (cd. “split year” o “frazionamento dell’anno d’imposta“). Per affrontare tale situazione, bisogna fare affidamento sulle regole fissate nelle Convenzioni stipulate dall’Italia con il singolo Stato coinvolto.

Si portano come esempio le Convenzioni che lo Stato Italiano ha stipulato con lo Stato svizzero e tedesco. Nella convenzione stipulata con la Svizzera, l’art. 4 paragrafo 4 afferma che “la persona fisica che ha trasferito definitivamente il suo domicilio da uno Stato contraente all’altro Stato contraente cessa di essere assoggettata nel primo Stato contraente alle imposte per le quali il domicilio è determinante non appena trascorso il giorno del trasferimento del domicilio. L’assoggettamento alle imposte per le quali il domicilio è determinante inizia nell’altro Stato a decorrere dalla stessa data”. La Convenzione con la Germania (punto 3 del protocollo d’intesa allegato alla Convenzione, rattificata con legge n. 459 datata 24 novembre 1992) prevede che “se una persona è considerata residente dello Stato contraente soltanto per una frazione dell’anno ed è considerata residente dell’altro Stato contraente per il resto dell’anno (cambio di residenza), l’assoggettamento all’imposta, nei limiti in cui esso dipenda dal luogo di residenza, termina nel primo Stato alla fine del giorno in cui è stato effettuato il cambio di domicilio. Nell’altro Stato l’assoggettamento all’imposta nel limiti in cui esso dipenda dal luogo di residenza, inizia il giorno successivo al cambio di residenza”.

Vediamo con un esempio l’applicazione pratica:

  • se il contribuente effettuasse la variazione il 2 luglio (182 giorni in Italia e 183 all’estero), il soggetto in questione non si considererebbe fiscalmente residente in Italia per il periodo di imposta, in quanto la sua permanenza in Italia è inferiore ai 183 giorni (salva la dimostrazione da parte dell’Amministrazione finanziaria della sussistenza del domicilio o della residenza sulla base delle previsioni civilistiche);
  • diversamente, la variazione avvenuta il 3 luglio (183 giorni in Italia e 182 all’estero), implicherebbe, in linea generale, il mantenimento della residenza fiscale in Italia per il periodo d’imposta in oggetto e conseguente obbligo di dichiarare nel nostro Paese tutti i redditi prodotti (anche all’estero e anche nella frazione d’anno in cui il trasferimento si è effettivamente concretizzato).

In questo senso si è espressa l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 471/E/2008, nella quale si afferma che la valutazione della situazione del soggetto dev’essere riferibile all’intero anno d’imposta. Nel caso specifico, nella convenzione tra Italia e Svezia, non viene contemplato il frazionamento; pertanto il soggetto continuerà ad essere assoggettato a tassazione in Italia anche per tutti gli eventuali redditi prodotti dal momento del trasferimento al momento di chiusura del periodo d’imposta. Infatti, “sebbene il frazionamento del periodo d’imposta sia previsto da alcune convenzioni, ciò non consente di estendere analogicamente la norma sul frazionamento alle convenzioni che non la prevedono espressamente, poiché ciò violerebbe il principio di sovranità”.

Se invece la singola convenzione prevede il frazionamento dell’anno (come la Convenzione con la Svizzera e la Germania), il contribuente che si trasferirà in Svizzera o in Germania il 3 luglio, sarà considerato residente in Italia solo per il periodo fino al trasferimento, mentre da quel momento in poi sarà considerato fiscalmente residente nell’altro Stato e lì dichiarerà i redditi prodotti.

L’art. 4 delle Convenzioni contro le doppie imposizioni prevede che l’espressione “residente in uno Stato contraente” designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga.

Nel caso in cui, in applicazione delle varie leggi nazionali, il soggetto risulti residente in più Stati, sono previsti particolari criteri (cd. “Tie breaker rules”) al comma 2 dell’art. 4 delle Convenzioni OCSE da applicarsi secondo un preciso ordine di priorità (i criteri successivi si applicano solo se il criterio precedente non è stato in grado di individuare una sola residenza).

Il primo criterio è il possesso dell’abitazione permanente; se il soggetto possiede una sola abitazione in uno solo degli Stati contraenti la convenzione, si presume che questo sia il paese di residenza.

Qualora il soggetto possegga delle abitazioni in entrambi gli Stati, il soggetto sarà ritenuto residente nello Stato in cui le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (il cd. “centro degli interessi vitali”). Rientrano sia le relazioni familiari, sociali, nonché la sede degli affari o il luogo dai quali si amministra la proprietà. Se tali tipologie di relazione sono distinte (relazioni sociali in un paese e relazioni economiche nell’altro Stato), le relazioni familiari avranno un peso maggiore (tuttavia, come più sopra indicato, si veda la C.T. Reg. Genova n. 87/1/12 del 13 luglio 2012 in cui si attribuisce maggiore preminenza alle relazioni economiche).

Il secondo criterio afferma che il soggetto sarà considerato residente nello Stato contraente nel quale soggiorna abitualmente.

Il terzo criterio stabilisce che, se la persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati, o in nessuno di essi, si ritiene che sia residente nello Stato in cui ha la nazionalità.

L’ultimo è un criterio residuale, in quanto se la persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati, “le autorità competenti degli stati contraenti risolvono la questione di comune accordo”.

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