Airbnb, il portale di gestione degli affitti brevi ha comunicato mercoledì mattina di aver raggiunto un accordo (accertamento con adesione) con l’agenzia delle Entrate in relazione alla ritenuta fiscale del 21% sui canoni riversati ai locatori privati (host non professionali) tra il 2017 e il 2021.

Airbnb pagherà 576 milioni di euro e non cercherà di rivalersi sugli host per recuperare le ritenute riferite a questi quattro anni d’imposta.

La società ha ancora in corso quello che definisce un «confronto costruttivo con le autorità» per il periodo 2022-23. Per il 2024, invece, Airbnb sta monitorando l’iter del disegno di legge di Bilancio, che interviene in tema di affitti brevi chiarendo le modalità di effettuazione della ritenuta. Dal portale fanno sapere di vedere «con favore» le norme in via di approvazione e annunciano di essere al lavoro per prepararsi ad adempiere.

Tutto lascia pensare, perciò, che dal prossimo 1° gennaio Airbnb effettuerà la ritenuta del 21% prima di accreditare ai locatori privati i canoni riscossi dagli inquilini.

Sanzioni per 174 milioni

L’intesa chiude la vertenza sorta con le indagini fiscali condotte dalla Guardia di finanza e coordinate dalla Procura di Milano e sfociata nel maxi-sequestro preventivo da 779,6 milioni di euro nei confronti della società. Airbnb è finito sotto la lente delle autorità italiane per non aver applicato la ritenuta del 21% prevista dalla manovra di primavera del 2017 (articolo 4, Dl 50/2017).

L’agenzia delle Entrate ha reso noto il dettaglio delle somme che il portale ha accettato di pagare. Dei 576 milioni, circa 174 milioni sono riferiti alle sanzioni amministrative, 49 milioni agli interessi e il resto alle ritenute vere e proprie. Le violazioni contestate, in particolare, riguardano il mancato versamento di ritenute (articolo 2, comma 1, Dlgs 471/1997), la mancata effettuazione delle ritenute (articolo 14, Dlgs 471/1997) e la mancata emissione delle certificazioni uniche (articolo 4, Dpr 322/1998).

Secondo l’Agenzia, l’importo è stato determinato in seguito alla ricostruzione della base imponibile su cui la società avrebbe dovuto applicare la ritenuta. In pratica, i 779,6 milioni di cui la Procura aveva chiesto il sequestro si riferivano a 3,7 miliardi di canoni incassati dal portale tra il 2017 e il 2021. Importo, quest’ultimo, che è stato riproporzionato in fase di accordo andando a escludere con un complesso incrocio di dati i canoni riferiti ai locatori che avevano comunque pagato le imposte in dichiarazione dei redditi, oltre a coloro che non sarebbero stati comunque soggetti alla ritenuta (titolari di partita Iva, persone con più di quattro appartamenti destinati alla locazione breve, locatori che offrono servizi aggiuntivi rispetto alla messa a disposizione dell’immobile). Da 3,7 miliardi si è così scesi a un imponibile di circa 1,6 miliardi, cui fanno riferimento le somme versate da Airbnb.

Va ricordato, peraltro, che diversi altri portali di gestione degli affitti brevi hanno seguito la stessa linea, non trattenendo fin dal 2017 alcuna somma a titolo di acconto sulle imposte prima di accreditare il canone ai locatori.

L’email del portale agli host

Nella giornata di mercoledì gli host di Airbnb hanno ricevuto un’email dal portale, in cui li si informa del fatto che l’intesa siglata con le Entrate non copre gli anni d’imposta 2022 e 2023, e li si invita a mettersi in regola nel caso in cui non avessero versato le imposte (molti locatori, infatti, hanno comunque pagato la cedolare secca o l’Irpef pur non avendo subìto la ritenuta).

«I termini per pagare le imposte sul reddito per il 2022 e per presentare la relativa dichiarazione sono scaduti – scrive Airbnb -. Invitiamo gli host che non l’abbiano ancora fatto a rivolgersi al proprio consulente fiscale al fine di valutare l’opportunità di utilizzare il ravvedimento operoso entro il 28 febbraio 2024 per beneficiare di sanzioni ridotte a fronte di un versamento e dichiarazione delle tasse tardivi».

La reazione di Airbnb e la ritenuta dal 2024

Dopo un lungo contenzioso, la volontà dichiarata di Airbnb è quella di avviare una cooperazione sul modello di quanto già avviene con molti Comuni italiani per la riscossione dell’imposta di soggiorno. Afferma la società: «L’Italia è un mercato importante per Airbnb. L’accordo di oggi significa che possiamo concentrarci nella continuazione della nostra collaborazione con le autorità italiane in materia di tasse, regole per le locazioni brevi e turismo sostenibile, a vantaggio degli host e degli ospiti».

Il disegno di legge di Bilancio prevede l’aumento della cedolare secca al 26% per i locatori che destinano alla locazione breve due o più abitazioni. Per facilitarne l’applicazione, però, la ritenuta sarà sempre del 21% e toccherà al locatore liquidare la maggiore imposta, quando dovuta. Secondo Airbnb, oltre i tre quarti degli host che hanno inserito le proprie case sul portale hanno solamente un annuncio. I ricavi medi nel 2022 sono stati poco superiori a 3.500 euro.

«La gran parte degli host su Airbnb in Italia sono persone comuni che si affidano alla piattaforma per integrare il proprio reddito familiare – aggiunge ancora la società -. Auspichiamo che l’accordo con l’agenzia delle Entrate e le recenti novità normative possano fare chiarezza sulle regole riguardo gli affitti brevi per gli anni a venire».

Lo scambio dati e la Dac 7

Airbnb ha spiegato di essere all’opera anche per conformarsi alla Dac 7, la normativa quadro europea sulla trasmissione dei dati fiscali da parte delle piattaforme digitali. «Abbiamo già informato gli host italiani di come questi cambiamenti si rifletteranno sulla loro attività». La società conferma che le informazioni entro il termine del 31 gennaio saranno condivise con le autorità irlandesi, dove Airbnb Ireland ha sede, e poi con le Entrate italiane.

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