- 9 Marzo 2022
- Posted by: Cesare Longo
- Categoria: Guide Fiscali
Hai subito un intervento chirurgico e sei stato ricoverato a lungo in ospedale. Nel frattempo, qualcuno ti ha scritto e ti ha notificato a casa un atto giudiziario, che non è stato ritirato da nessuno. Era un decreto ingiuntivo. La prolungata assenza dall’abitazione non è dovuta a colpa tua, ma intanto i 40 giorni utili per opporsi sono ormai scaduti. La cifra che ti hanno intimato di pagare è ingente e vorresti sapere se è possibile proporre un’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo.
Come fare? Vediamo.
L’opposizione a decreto ingiuntivo è il modo con cui il debitore contesta, per via giudiziaria, la pretesa azionata dal creditore. Se il decreto ingiuntivo non viene opposto entro 40 giorni dalla sua notificazione, acquista automaticamente efficacia esecutiva (se non ne era già munito sin dal momento della sua emissione): da quel momento il creditore può sottoporre i beni del debitore ad esecuzione forzata, ad esempio pignorando i conti correnti, gli stipendi o gli immobili.
A norma dell’art. 645 Cod. proc. civ., l’opposizione si propone presso l’ufficio giudiziario che ha emesso il decreto ingiuntivo, con un atto di citazione da notificare al creditore che lo aveva ottenuto. Per fare opposizione è necessaria l’assistenza di un avvocato. Con l’opposizione si instaura un giudizio «a cognizione piena», secondo le regole del processo civile ordinario: così la pretesa del creditore può essere messa in discussione e contestata. Ovviamente, servono validi motivi per farlo (ad esempio, dimostrando l’avvenuto pagamento della somma intimata nel decreto).
Nel giudizio di opposizione si può anche chiedere al giudice la sospensione dell’esecutività provvisoria del decreto, quando ricorrono «gravi motivi» ai sensi dell’art. 649 Cod. proc. civ.
Opposizione tardiva a decreto ingiuntivo: quando è possibile?
L’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo avviene quando è scaduto il termine di 40 giorni, che come abbiamo visto è quello utile per opporsi nel modo ordinario. Il rimedio dell’opposizione tardiva è consentito dall’art. 650 del Codice di procedura civile in casi eccezionali, e precisamente quando il debitore prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del decreto ingiuntivo emesso e notificato nei suoi confronti per una di queste due ragioni:
- a causa dell’irregolarità della notificazione;
- per un’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore.
Tocca sempre all’opponente provare che queste situazioni si sono realmente verificate: dunque, egli dovrà esporre i motivi di invalidità della notifica, o spiegare in cosa si è concretizzato il caso fortuito o la forza maggiore che gli ha impedito di avere notizia del decreto ingiuntivo in tempo utile per presentare un’opposizione tempestiva. Anche con l’opposizione tardiva è possibile ottenere la sospensione dell’esecutività del decreto ingiuntivo.
La giurisprudenza ravvisa la forza maggiore e il caso fortuito «rispettivamente, in una forza esterna ostativa in modo assoluto ed in un fatto di carattere oggettivo avulso dall’umana volontà e causativo dell’evento per forza propria»: ad esempio, una calamità naturale, come un violento terremoto. Viceversa, non è sufficiente l’assenza dalla propria residenza, perché l’allontanamento dall’abitazione è «un fatto volontario ed è imputabile all’assente il mancato uso di cautele idonee a permettere la ricezione o almeno la conoscenza delle missive pervenutegli nel periodo di assenza» [1].
Opposizione tardiva a decreto ingiuntivo: termini
I termini per presentare l’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo sono – come afferma costantemente la Corte di Cassazione [2] – «termini mobili», cioè variabili, nella loro decorrenza, in base al momento in cui si verificano le circostanze che abbiamo esaminato. In ogni caso, però, l’opposizione va proposta entro 40 giorni dalla data di avvenuta conoscenza del decreto ingiuntivo e diventa inammissibile se sono decorsi 10 giorni dalla notifica del primo atto di esecuzione, cioè del pignoramento.
La Suprema Corte ha ribadito, in una recente ordinanza [3], che il termine utile per proporre opposizione tardiva è di 40 giorni, che decorrono dal momento della conoscenza, da parte dell’ingiunto, del decreto da opporre; ma c’è da considerare anche il termine di sbarramento finale, che rende inammissibile l’opposizione proposta dopo 10 giorni dall’inizio dell’esecuzione. Perciò può accadere nella pratica – spiega il Collegio – «che l’ingiunto abbia a disposizione per l’opposizione soltanto dieci giorni, ove abbia per la prima volta avuto conoscenza del decreto solo al momento della notificazione del pignoramento».
Decreto ingiuntivo: perché conviene l’opposizione?
La legge dice che il debitore ha quaranta giorni per fare opposizione, inviando un atto di citazione alla controparte. Il termine inizia dal giorno in cui ti arriva il plico contenente l’atto giudiziario. Escludendo, questa data, devi conteggiare il tempo a tua disposizione, considerando che se l’ultimo giorno scade di sabato o di domenica, dovrà essere posticipato al lunedì successivo. Obiettivamente, non si tratta di moltissimo tempo, ma se sarai tempestivo nel far valutare la situazione ad un legale di fiducia, vedrai che non ci saranno particolari problemi nell’articolare una difesa efficace.
Opposizione a decreto ingiuntivo: effetti
Il primo effetto che, senza alcun dubbio, produce l’opposizione a decreto ingiuntivo è guadagnare del tempo. Infatti, devi considerare che, per le cause dinanzi al tribunale, tra il momento in cui si invia la citazione e la prima udienza, devono trascorrere almeno 90 giorni. Inoltre, frequentemente, le cause sono oggetto di rinvii d’ufficio. Non è improbabile, quindi che, tra la data in cui hai ricevuto il decreto e quella fissata per discutere l’opposizione, passino diversi mesi. Questo periodo potrà servire, ad esempio, per ragionare sulla vicenda e raggiungere un accordo con il creditore.
Con l’opposizione, inoltre, è possibile chiedere la sospensione del decreto ingiuntivo, qualora fosse stato dichiarato provvisoriamente esecutivo. Ad esempio, sarebbe possibile farlo se ha per oggetto delle quote condominiali contestate e nel frattempo è stata impugnata l’assemblea che le ha disposte.
Infine, non dimenticare mai che, con questa azione legale, hai la possibilità di dimostrare che le ragioni del creditore sono illegittime. Ad esempio, sarebbe possibile in tutti quei casi in cui la pretesa è basata su un contratto nullo o contenente delle clausole invalide. Con l’opposizione, quindi, avresti la possibilità di far revocare il decreto e di liberarti definitivamente dal debito.
Si può pignorare anche per piccoli importi?
Un nostro lettore non ha pagato alcune bollette. Si tratta di importi tutto sommato modesti. Ciò nonostante, da alcuni anni, è perseguitato dalle agenzie di recupero crediti che, a più riprese, lo hanno minacciato di azioni esecutive.
Incredulo che ciò possa avvenire per somme insignificanti, si chiede però se, con il decorso del tempo, gli interessi nel frattempo maturati possano capovolgere la situazione e giustificare così l’avvio di una procedura di riscossione forzata nei suoi riguardi.
Si può pignorare anche per piccoli importi? Esiste un limite minimo che il debito debba necessariamente raggiungere prima che il creditore possa ricorrere al giudice e, dopo, all’ufficiale giudiziario? Ecco cosa dice la nostra legge a riguardo.
Condizioni del pignoramento
Il pignoramento può partire solo se il creditore ha in mano un titolo esecutivo ossia un documento che certifichi, con ufficialità, l’esistenza del proprio diritto nei confronti del debitore. Esempi di titoli esecutivi sono le sentenze di condanna (quelle cioè emesse al termine di una regolare causa civile), il decreto ingiuntivo non opposto nei 40 giorni dalla sua notifica, gli assegni, le cambiali, i contratti di mutuo stipulati innanzi al notaio.
Il titolo esecutivo deve poi essere portato a conoscenza del debitore, nel caso in cui si tratti di un atto giudiziario (sentenze o decreti ingiuntivi). Il che significa che il creditore deve consegnarlo all’ufficiale giudiziario il quale poi provvederà alla notifica dell’atto presso la residenza del debitore.
Dunque, il debitore che abbia omesso il pagamento di un contratto, di una fattura o di una bolletta non potrà subire, di punto in bianco, il pignoramento ma dovrà prima ricevere la notifica del provvedimento di condanna emesso dal giudice (il più delle volte, si tratta di un decreto ingiuntivo).
La notifica del titolo esecutivo non è ancora sufficiente all’avvio del pignoramento. È anche necessario che il creditore, dopo di esso, notifichi al debitore un secondo atto: il cosiddetto precetto. L’atto di precetto è un ultimo invito a pagare l’importo dovuto entro 10 giorni. Solo dall’undicesimo giorno in poi (e non oltre il novantesimo) il creditore potrà avviare l’esecuzione forzata, ossia il pignoramento.
Debito minimo per il pignoramento
Veniamo ora alla domanda del lettore: si può pignorare anche per piccoli importi? La risposta è affermativa: la legge non pone limiti minimi all’avvio del pignoramento. In teoria, quindi, si può procedere in via esecutiva anche per somme modeste, finanche inferiori a 100 euro. Solo l’Agente per la riscossione esattoriale (ossia Agenzia Entrate Riscossione) non può emettere cartelle esattoriali per debiti inferiori a 30 euro. I creditori privati non incontrano invece tale limite.
Alla «possibilità» tuttavia di avviare un pignoramento per piccoli importi non fa sempre riscontro l’«opportunità». Difatti, il pignoramento comporta dei costi legali di un certo rilievo a cui, se non fa da contraltare un buon margine di certezza circa il recupero del credito, non sempre si va incontro con piacere.
L’incertezza che lega ogni forma di recupero crediti fa sì che allo stesso si acceda solo quando il credito è di importo rilevante. Quanto “rilevante”, come detto, la legge non lo può dire; per cui spetta al creditore definire se, in un’ottica di utilità personale, sia conveniente o meno intraprendere le azioni legali. A volte, entrano in gioco anche questioni di carattere personale, di principio o la volontà di dare un chiaro segnale a tutti i clienti di una determinata azienda.
Il più delle volte, il creditore che ha già portato a termine l’azione giudiziale o il decreto ingiuntivo contro il debitore, procederà anche con il successivo pignoramento.
L’incertezza del pignoramento
Un aspetto da non sottovalutare e di cui tenere conto ai fini del calcolo probabilistico della possibilità di subire un pignoramento sta nel fatto che non sempre il creditore è consapevole dei beni intestati al debitore. Solo per gli immobili esiste un registro pubblico. Invece, per i conti correnti, le pensioni e gli stipendi è necessario prima farsi autorizzare dal Presidente del Tribunale per consultare l’Anagrafe Tributaria. Questa autorizzazione però può essere data solo quando sia stato già notificato l’atto di precetto, e quindi a procedimento già intrapreso e in fase di ultimazione.
L’Anagrafe tributaria rivela presso quale banca il debitore ha il conto corrente ma non dice quanto in esso vi è depositato; rivela presso quale azienda il debitore è assunto ma non dice qual è la mensilità che questi percepisce; comunica se il debitore riceve un assegno pensionistico ma non ne indica l’ammontare. Si tratta di variabili invece rilevanti perché un conto in rosso, uno stipendio o una pensione bassa riducono enormemente la possibilità di un recupero del credito.
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