- 4 Novembre 2021
- Posted by: Cesare Longo
- Categoria: ULTIME NOTIZIE

RIFORMA DEL FISCO, Quattro opzioni sul tavolo
Il fondo da otto miliardi per la riduzione della pressione fiscale inserito in legge di bilancio è solo la prima mossa verso un taglio delle tasse ancora tutto da costruire. Lì si giocherà lo snodo cruciale per la strategia effettiva della manovra. Il suo compito è infatti quello di proseguire, rendendola strutturale, la discesa della pressione fiscale che quest’anno è stata realizzata grazie all’incrocio di agevolazioni emergenziali e rimbalzo del Pil.
Obiettivo 2022: pressione fiscale al 41,7%
L’obiettivo è portare nel 2022 il peso del fisco al 41,7% del Pil (41% al netto dei bonus 100 euro), dal tetto del 42,8% raggiunto nel 2020, e accompagnarlo in fretta verso quota 41% negli anni successivi. Ma la strada da imboccare per raggiungere questo traguardo è ancora da scegliere: facendosi largo fra divergenze politiche e incognite tecniche. Perché il taglio deve seguire le due stelle polari appena indicate dalla delega fiscale: la «semplificazione» e l’«equità», che deve fare i conti con gli effetti collaterali sempre in agguato quando si tocca un sistema complesso come il fisco italiano.
1) Alleggerire il carico Irpef sui ceti medi
Proprio questo complica il lavoro sull’ipotesi Irpef, la prima fra quelle indicate dalla legge di bilancio. Il primo obiettivo, rilanciato anche dall’indagine conoscitiva delle commissioni Finanze di Camera e Senato, è quello di alleggerire il carico sui ceti medi, in particolare sui sette milioni di italiani che occupano il terzo scaglione (da 28mila a 55mila euro lordi all’anno) e pagano quindi il 38%. I modelli per limare il salto d’aliquota rispetto al 27% del secondo scaglione sono in elaborazione da anni al ministero dell’Economia, fin dai tempi di Giovanni Tria quando poi si scelse di destinare i fondi a quota 100. E mostrano in chiaro i possibili effetti collaterali di un taglio concentrato sulle aliquote centrali.
I numeri sono stati messi sul tavolo dal Mef già nell’indagine conoscitiva del Parlamento. Lì il dipartimento Finanze ha illustrato come esempio una riforma che ridurrebbe a tre le aliquote Irpef, fissandole al 23% fino a 25mila euro di reddito lordo, al 33% fino a 55mila e al 43% sopra. Una revisione del genere, che comporta anche la revisione della curva delle detrazioni e l’assorbimento dei bonus 80-100 euro, costerebbe circa 10 miliardi.
Ma, e qui è il punto, dedicherebbe circa 1,5 miliardi all’anno, il 15% del totale, a ridurre le tasse a carico dei redditi medio-alti, cioè di chi dichiara oltre 55mila euro all’anno. E questo nonostante un aumento di aliquota per l’attuale quarto scaglione, dal 41 al 43%, ipotesi oggi non prevista dalla legge di bilancio. Perché la progressività Irpef è una piramide, e l’alleggerimento dei primi scalini si riflette anche sulle imposte pagate da chi sta in cima.
Un’efficace traduzione in cifre di questo effetto è offerta anche da un’analisi appena elaborata da Lelio Violetti per Lef, l’«associazione per la legalità e l’equità fiscale» vicina al centro studi Nens di Vincenzo Visco e Pierluigi Bersani. Il taglio di un punto all’aliquota del 38%, calcola Violetti, ridurrebbe mediamente di 30 euro le tasse per chi ne dichiara fra 28mila e 35mila, mentre offrirebbe uno sconto da 160 euro per i redditi fra 40mila e 50mila e di 270 euro per quelli che superano i 55mila.
2) Un’alternativa attraverso i bonus
Con risorse limitate, l’effetto non è trascurabile. E proprio per questo il governo si è tenuta aperta una strada alternativa che passa dall’aumento del taglio al cuneo fiscale attraverso i bonus. Con gli otto miliardi della manovra è possibile alzare il bonus massimo da 100 a 120 euro, portandolo anche oltre l’attuale tetto dei 28mila euro di reddito, e allargare la platea del meccanismo con decalage, che oggi si ferma ai redditi da 40mila euro, applicando l’ulteriore detrazione fino a 55mila euro. Il vantaggio è quello della ricaduta immediatamente percepibile in busta paga. Ma è evidente il contrasto fra una scelta del genere e gli obiettivi sbandierati di riforma strutturale del fisco, che dovrebbe riguardare anche i redditi diversi da quelli da lavoro dipendente.
3) Meno Irap per le imprese
Sul lato delle imprese la legge di bilancio ipotizza invece una riduzione dell’aliquota Irap. Con otto miliardi infatti è possibile solo avviare il «progressivo superamento» evocato dalla delega per l’imposta regionale, che ne vale 12 all’anno (esclusa la parte Pa che è una partita di giro). Ma, scritta così, la manovra sembra rinunciare anche a un intervento sulla base imponibile, per esempio con l’eliminazione dal calcolo degli interessi passivi come chiedono le imprese; e alle ipotesi di fusione con l’Ires proposta dal Parlamento.
4) I nodi politici oltre a quelli tecnici: mix di tagli Irpef e Irap?
I nodi tecnici, insomma, non sono pochi. Ma su tutto l’impianto dominano quelli politici, a partire dalla scelta di fondo se dedicarsi prima ai redditi delle persone fisiche o al carico fiscale delle imprese. Per comporre gli interessi in campo, e i loro molteplici riflessi nella maggioranza composita che sostiene il governo, si può fare strada la quarta opzione, che mescola taglio Irpef e Irap: con la conseguenza, però, di ridurre significativamente l’efficacia di entrambi.
ULTIME NEWS
-
ECCO IL NUOVO ELENCO CODICI ATECO 2025
10 Aprile 2025