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Il 31 marzo è una data molto importante per tutte le persone e le imprese che, in questo biennio, hanno sperimentato o gestito lo smart working emergenziale.

Se non ci saranno proroghe dell’ultimo minuto, infatti, verrà meno la regola rivoluzionaria approvata all’inizio dello stato d’emergenza e rimasta in vita, senza interruzioni, sino a oggi, quella che consente al datore di lavoro di disporre unilateralmente, e senza particolari formalità, il ricorso al lavoro agile.

Il ritorno agli accordi

Il ritorno alla “normalità” sancita e regolata dalla legge 81/2017 richiederà a tutte le imprese un rilevante sforzo organizzativo e progettuale: mentre oggi basta una semplice email per decidere quali e quante persone possono lavorare in modalità agile, infatti, dal 1° aprile qualsiasi policy aziendale sullo smart working potrà essere attuata solo verso quei lavoratori che avranno dato, per iscritto, il proprio consenso individuale.

Tornerà infatti a essere vigente la regola, contenuta nella legge 81/2017, che consente di accedere allo smart working solo in presenza di un accordo firmato dal singolo dipendente, con il quale le parti definiscono le “regole di ingaggio” da applicare a questa modalità flessibile di svolgimento della prestazione lavorativa.

Accanto a questo requisito legale, le imprese dovranno fare i conti con un altro passaggio, non previsto dalla legge ma non per questo meno vincolante: la necessità di discutere con le parti sociali, a tutti i livelli, l’eventuale regolazione tramite accordo collettivo del lavoro agile.

La previsione del Protocollo del 7 dicembre 2021

La stipula di tale accordo non è un requisito legale (la legge 81/2017 non ne fa menzione), ma è un passaggio centrale del Protocollo siglato il 7 dicembre 2021 tra le parti sociali, alla presenza del ministero del Lavoro. Il protocollo spinge, infatti, tutti gli attori delle relazioni industriali a negoziare il ritorno al lavoro agile ordinario entro una cornice di regole fissate da appositi accordi collettivi.

Questi passaggi devono essere pianificati subito, per evitare che alla fatidica data del 1° aprile le aziende, per la mancanza di accordi individuali o per non aver gestito sul tavolo delle relazioni industriali la tematica, si trovino di fronte all’impossibilità pratica di continuare a usare lo smart working.

Per le imprese che si faranno trovare pronte si potrà applicare la piccola semplificazione annunciata dal ministero del Lavoro: la possibilità di continuare a inviare una comunicazione massiva, al posto di tante comunicazioni individuali, per tutti gli accordi di lavoro agile siglati.

Una riduzione del carico burocratico utile, perché consentirebbe di risparmiare tempo nel fare un passaggio amministrativo, ma certamente non decisiva ai fini della concreta capacità di uscire dalla fase di emergenza e passare alla nuova normalità, che dipenderà dalla programmazione e attuazione degli accordi sopra descritti.

La nuova organizzazione

Non bisogna dimenticare che la dimensione giuridica del lavoro agile è solo un pezzo, importante ma non esclusivo, della vicenda. C’è un aspetto altrettanto rilevante, o forse ancora di più, che consiste nell’effettiva capacità delle imprese di accompagnare l’utilizzo del lavoro agile con nuovi modelli organizzativi, capaci di valorizzare l’alternanza tra svolgimento della prestazione all’interno e all’esterno dell’azienda. E, soprattutto, di utilizzare parametri di gestione e valutazione che diano maggiore importanza agli obiettivi e ai risultati dell’attività lavorativa.

Un cambio organizzativo che dovrebbe servire a evitare che i difetti del lavoro agile d’emergenza – una forma di lavoro “casalingo”, che ha costretto le persone a trasferire la scrivania tra le mura domestiche, senza nessuna vera agilità e senza alcun cambio di paradigma – si riproducano anche nello smart working post pandemico, riducendo le potenzialità di tale strumento.

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