FISCO CONSULTING

SMART WORKING, Il rientro in ufficio dei circa 700mila dipendenti pubblici che erano stati coinvolti dal lavoro a distanza

Certo, lo stop al lavoro agile ha determinato un adeguamento in corsa del quadro delle regole, con qualche intoppo per una serie di situazione specifiche. 

Resta il fatto che l’attenzione nel pubblico impiego, esclusi ovviamente infermieri, medici, insegnanti, forze dell’ordine e gli altri settori che possono lavorare solo in presenza, si concentra ora su quale smart working tornerà in gioco dopo il ritorno in presenza sancito dal 15 ottobre.

L’assenza di una disciplina transitoria rende oggi di fatto chiusa per tutti la strada dello smart working.

Ma lo stesso ministro per la Pa Renato Brunetta, primo autore della chiamata in ufficio, ieri ha spiegato che l’esperienza «con luci e ombre» maturata durante la crisi pandemica non può essere archiviata con un semplice salto nel passato.

Linee guida presentate ai sindacati

Sul piano operativo, la prima conseguenza arriverà oggi alle 12 con la presentazione ai sindacati delle nuove Linee guida sullo smart working nel pubblico impiego. Il testo, che Il Sole 24 Ore ha potuto consultare, richiama i principi in discussione in queste settimane sui tavoli del rinnovo contrattuale. Ma indica anche in modo più puntuale i presupposti indispensabili alla concessione dello smart working. Presupposti giudicati indispensabili soprattutto per garantire la sicurezza dei dati trattati nel lavoro. Ma non facili da organizzare per molte amministrazioni.

Capitolo dotazioni tecnologiche

Il secondo capitolo delle Linee guida, intitolato alle «condizioni per l’accesso alla prestazione lavorativa in forma agile», spiega che «si deve fornire il lavoratore di idonea dotazione tecnologica», e che «per accedere alle applicazioni del proprio ente può essere utilizzata esclusivamente la connessione Internet fornita dal datore di lavoro».

L’amministrazione deve poi «prevedere apposite modalità per consentire la raggiungibilità delle proprie applicazioni da remoto». Sempre per assicurare la tutela dei dati, le Linee guida specificano che «in nessun caso può essere utilizzato un’utenza personale o domestica del dipendente per le ordinarie attività di servizio».

L’indicazione è chiara. Ma il punto resta controverso perché, come ricorda l’Anci in un Quaderno operativo appena pubblicato sul ritorno in presenza dei dipendenti dei Comuni, il primo decreto Covid, ancora in vigore, prevede la possibilità che lo smart working si svolga «attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dall’amministrazione» (articolo 87 del Dl 18/2020). Ma è tutta la disciplina che sta piovendo sulla riorganizzazione della Pa a costruire incroci piuttosto complessi fra norme primarie, Dpcm e documenti di indirizzo.

Un test per i prossimi contratti

Le Linee guida, si diceva, «anticipano» il contenuto dei contratti che, come Brunetta è tornato a indicare, il governo punta a firmare entro la fine dell’anno. Anche perché i testi in discussione riguardano il 2019/21, per cui l’anno prossimo si dovrà ricominciare. L’intesa su ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici (le «Funzioni centrali») è alla vigilia della fase decisiva, e sulla parte ordinamentale, come appunto quella che riguarda il lavoro agile, fisserà le regole generali che saranno riprese anche negli altri comparti.

In costruzione c’è in pratica un doppio binario per il lavoro fuori ufficio. Lo smart working vero e proprio, riassumono le Linee guida in arrivo, sarà effettuato «senza un vincolo di orario nell’ambito delle ore massime giornaliere e settimanali previste dai contratti nazionali», con una «fascia di inoperabilità» che garantirà il diritto alla disconnessione nelle 11 ore di riposo consecutivo garantite dalle regole contrattuali. Al lavoratore agile è garantita la possibilità di utilizzare le varie forme di permessi orari, ma non potranno vedersi riconosciute le indennità di straordinario, trasferta, rischio o disagio.

Tutto questo però è possibile solo con un sistema puntuale di obiettivi individuali. In alternativa sarà possibile un «lavoro da remoto», che cambia la sede dell’attività (casa o spazi di coworking invece dell’ufficio) ma non gli obblighi tipici della presenza, a partire dall’orario. In ogni caso non ci saranno lavoratori solo a distanza, ma il modello sarà ibrido con la presenza in ufficio.

Per guidare la riorganizzazione nei Comuni, l’Anci ha pubblicato il Quaderno operativo che fra le altre cose offre modelli standard per la richiesta di lavoro agile e per l’accordo individuale.

I modelli individuano anche una serie di categorie d’elezione per lo smart working, tra cui le lavoratrici in gravidanza, in maternità o nei tre anni successivi, i lavoratori con famigliari portatori di handicap, i fragili e chi abita in un Comune diverso da quello in cui lavora. Nelle intese individuali sono poi previste le «schede obiettivo», con l’indicazione dei compiti da svolgere, la loro articolazione nei mesi e la quota da coprire nel corso del lavoro agile.


Lo “smart working” non esiste nella lingua inglese

Potrà stupire, ma il termine smart working non è utilizzato nella terminologia giuslavorativa inglese; anzi, il significato letterale di “smart working” allude più che altro alla flessibilità dei processi lavorativi nell’ambito delle nuove tecnologie che rendono il lavoro più “intelligente” (quindi “smart”).

In realtà, quello che in Italia intendiamo per lavoro agile/lavoro da casa, in Inghilterra si chiama “working from home” oppure “remote working” e ancora “telecommuting”.

Queste espressioni indicano la modalità di lavoro da casa con mezzi tecnologici propri e orari flessibili ed hanno avuto grande diffusione a partire dal 2014, anno in cui è stata emanata la Flexible Working Regulation che, per la prima volta, ha sancito il diritto dei dipendenti ad avere maggiore flessibilità, specie quelli con oltre 6 mesi di anzianità lavorativa.

Smart working è uno pseudoanglicismo: che vuol dire?

Ma allora cos’è lo smart working? Si tratta di una traduzione “maccheronica” e impropria: i media e le Istituzioni hanno trasformato il termine italiano “lavoro agile” creando così uno pseudoanglicismo.

Per pseudoanglicismo si intende il fenomeno per cui una parola o una costruzione sintattica subisce l’influenza della lingua inglese senza però rispecchiare la traduzione in uso. Di fatto gli pseudoanglicismi sono parole nuove che non si trovano nel vocabolario della lingua inglese. Oltre allo smart working, altri esempi di pseudoanglicismi sono:

  • book (fotografico), che in inglese si chiama “artist’s portfolio”;
  • autogrill, che in inglese non esiste e si dice “motorway service area” (area di servizio);
  • autostop, il cui corrispettivo inglese è “hitchhiking”.

Perché si dice smart working in italiano e in cosa consiste

Quanto detto fino ad ora significa che giornali, politici e media utilizzano impropriamente le parole “smart working” come traduzione letterale del termine “lavoro agile” contenuto nella legge n. 81 del 22 maggio 2017. Questa normativa disciplina regole generali e definizione del lavoro da casa (“Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”).

Un errore che ormai è entrato nel gergo comune e che continueremo ad utilizzare anche in futuro.

La legge 81/2017 definisce il lavoro agile/smart working come segue:

“Una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.

ULTIME NEWS

I NOSTRI SERVIZI ONLINE PIU' VENDUTI

flyer 2024 versione-01

Ogni giorno professionisti e aziende di tutta Italia usano i servizi di Fisco Consulting