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L’Agenzia delle Entrate torna a parlare dell’agevolazione per i lavoratori impatriati (ex art. 16, comma 2, del D.Lgs. n. 147/15) con la risposta ad interpello n. 533 del 6 novembre 2020.

Sostanzialmente, l’Agenzia in questo documento di prassi si limita a ribadire quanto già disposto dall’art. 5 del D.L. n. 34/19 (in vigore dal 1° maggio 2019) che è andato a modificare la norma originaria dell’agevolazione, ovvero l’art. 16 del D.Lgs. n. 147/15 in merito al requisito della residenza all’estero in assenza di iscrizione AIRE.

Tale disposizione ha previsto che l’iscrizione AIRE non rappresenti più un requisito indispensabile per l’ottenimento dell’agevolazione, qualora il soggetto possa verificare le condizioni di residenza fiscale estera in virtù di quanto disposto dalla convenzione internazionale vigente tra i due paesi coinvolti.

Questa condizione vale sicuramente per i soggetti rientrati in Italia dopo il 30 aprile 2019, ma vi erano dubbi sull’applicazione di questa condizione per i soggetti rientrati in Italia precedentemente a questa data.

Espatrio di due anni per frequentare un master universitario senza iscrizione aire

L’oggetto dell’interpello riguarda un soggetto che negli anni 2016 e 2017 ha trascorso un periodo all’estero al fine di frequentare un master universitario. In tale periodo non si è iscritto all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE).

Tale soggetto è poi rientrato in Italia per lavorare alle dipendenze di una società italiana. La questione è che essendo rientrato in Italia prima del 30 aprile 2019, la possibilità di fruire dell’agevolazione anche senza iscrizione AIRE sia possibile o meno.

Soluzione positiva dell’agenzia delle entrate

Nell’ipotesi di trasferimento della residenza fiscale in Italia prima del 30 aprile 2019, occorre far riferimento all’articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015, nella formulazione vigente fino al 30 aprile 2019. Disposizione questa secondo cui al verificarsi delle condizioni richieste, i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento.

Sono destinatari del beneficio fiscale in esame i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che:

  • Sono in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero
  • Hanno svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.

Attività di studio all’estero

Come precisato con la Circolare n. 17/E/2019 (pag. 29) “relativamente all’attività di studio, tale requisito è soddisfatto a condizione che il soggetto consegua la laurea o altro titolo accademico post lauream aventi la durata di almeno due anni accademici“.

Inoltre, “il requisito dello svolgimento dell’attività di lavoro o studio all’estero in modo continuativo negli ultimi ventiquattro mesi, non deve necessariamente far riferimento all’attività svolta nei due anni immediatamente precedenti il rientro, essendo sufficiente che l’interessato, prima di rientrare in Italia, abbia svolto tali attività all’estero per un periodo minimo ed ininterrotto di almeno ventiquattro mesi. Infine, relativamente all’attività di studio, tale requisito è soddisfatto a condizione che il soggetto consegua la laurea o altro titolo accademico post lauream aventi la durata di almeno due anni accademici“.

Requisito della residenza

Con riferimento al requisito della residenza, sono residenti in Italia le persone fisiche che, per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza (ex art. 2 del TUIR).

E’ stato chiarito che per accedere al regime speciale per i lavoratori impatriati, la norma presuppone che il soggetto non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio.

A tal fine, si osserva che l’articolo 16 comma 2 del D.Lgs. n. 147/15 non indica espressamente un periodo minimo di residenza estera, come, invece, previsto per i soggetti di cui al comma 1 del medesimo articolo 16 (permanenza all’estero per i cinque periodi di imposta precedenti al trasferimento in Italia nell’ipotesi di trasferimento della residenza fiscale in Italia prima del 30 aprile 2019, applicando l’articolo 16 del D.Lgs. n. 147/15, nella formulazione vigente fino al 30 aprile 2019).

Considerato, tuttavia, che si prevede un periodo minimo di lavoro all’estero di due anni, si ritiene che per tali soggetti la residenza all’estero per almeno due periodi d’imposta costituisca il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo. Sul punto vedasi le risposte a interpello n. 32/E/2019n. 272/E/2019 e n. 4/E/2020.

Superabile la mancata iscrizione aire nell’agevolazione impatriati

Sempre con riferimento al requisito della residenza estera si evidenzia che, qualora il periodo di iscrizione all’AIRE risulti insufficiente o detta iscrizione non risulti affatto, trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 5-ter inserito nell’articolo 16 del D.Lgs. n. 147/15.

Si tratta della disposizione secondo cui i cittadini italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui al comma 1, lettera a), ossia sono in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più.

Questa norma consente di dimostrare il possesso dei requisiti di residenza ai sensi delle convenzioni contro le doppie imposizioni, in assenza di iscrizione all’AIRE.

Naturalmente, per poter verificare questa ipotesi, per il contribuente istante si tratta di dover andare a produrre documentazione probatoria.

Infatti, in questo caso, in sede di accertamento dell’agevolazione da parte dell’Agenzia delle Entrate il contribuente è tenuto ad:

  • Esibire la documentazione nominativa che lo collega in modo duraturo e stabile allo stato estero in cui ha vissuto (percorso di studi, affitto all’estero, pagamento di utenze, spese quotidiane, etc);
  • Deve essere in possesso della certificazione di residenza fiscale estera rilasciata dall’agenzia fiscale estera. Si tratta della certificazione di residenza fiscale in virtù del paragrafo 4 della convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia. Tale certificazione da richiedere all’agenzia fiscale estera deve riguardare il periodo trascorso all’estero.

Oltre a questi due requisiti è necessario poi conservare la documentazione che attesti i 24 mesi di studio (o lavoro) all’estero svolti in modo continuativo. In questo modo è possibile arrivare a superare il futuro accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Mancata iscrizione aire e regime degli impatriati: conclusioni

A parere dell’Agenzia delle Entrate, quindi, la sanatoria per la mancata iscrizione AIRE, valevole a partire dal 1° maggio 2019, si rende applicabile per i contribuenti che desiderano verificare l’agevolazione impatriati ai sensi del comma 1 dell’art. 16, verificando i relativi requisiti richiesti (due anni di residenza fiscale estera precedenti al rientro, impegno a restare in Italia per almeno due anni, attività lavorativa di lavoro dipendente, autonomo o di impresa in forma individuale sul territorio italiano).

Per chi, invece, vada a verificare i requisiti alternativi di cui al successivo comma 2 dell’art. 16, ovvero quelli indicati in questo contributo, di per sé, non è richiesta la verifica della residenza fiscale estera se non ai fini convenzionali. Pertanto, vi può essere sanatoria per la mancata iscrizione AIRE anche per i soggetti rientrati in Italia prima del 1° maggio 2019, a condizione che possano verificare i requisiti di cui al comma 2 dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147/15.

Si tratta, quindi, di un’apertura importante dell’Agenzia delle Entrate, che dovrà tenere conto di queste indicazioni anche nei controlli che andrà ad effettuare sull’agevolazione. Su di essi, ad esempio, rimangono comunque alcune incertezze, come ad esempio l’obbligatorietà della certificazione di residenza fiscale estera, ai fini convenzionali, spesso di difficile ottenimento per chi ha vissuto all’estero per soli motivi di studio (e non anche per lavoro).


Residenza fiscale estera, come comportarsi in caso di accertamento?

In questo contributo le indicazioni utili per capire come affrontare la situazione.

’efficacia dell’azione di contrasto ai fenomeni di evasione ed elusione fiscale transnazionale è subordinata alla corretta identificazione dello status del singolo contribuente. Dall’identificazione della corretta residenza fiscale dipende la definitiva determinazione delle giurisdizioni titolari dell’imposizione fiscale.

Proprio sulla base di queste considerazioni l’Amministrazione finanziaria italiana ogni anno effettua migliaia di controlli sulla residenza fiscale dei contribuenti.

Questo tipo di controlli sono legati ad evitare frodi fiscali ed a permettere la corretta tassazione dei redditi percepiti. Nel corso degli anni le metodologie di accertamento sulla residenza fiscale si sono affinate. Per questo motivo, anche in relazione alle tantissime richieste di chiarimenti che mi arrivano quotidianamente da molti espatriati ho deciso di affrontare con metodo l’argomento per spiegarti come è possibile difendersi da questo tipo di contestazioni.

In questo contributo voglio andare ad approfondire come deve comportarsi il contribuente quando si trova di fronte ad una contestazione basata sul trasferimento di residenza all’estero. Questo, soprattutto nella fase pre-contenziosa, fondamentale per auto-valutare la propria situazione ed instaurare una possibile difesa.

Nell’ordinamento tributario italiano la residenza fiscale assume un ruolo determinante, in quanto presupposto giuridico per la tassazione dei redditi su base mondiale (vedi art. 2 e 3 del TUIR). Per questo motivo, la residenza fiscale dei contribuente è fortemente attenzionata da parte dell’Amministrazione finanziaria che può, infatti, in caso di contestazione, arrivare ad estendere la potestà impositiva di uno Stato ai redditi prodotti all’estero.

Si tratta di accertamenti che, in molti casi e per varie ragioni, molto spesso sfociano in un lungo e complesso contenzioso tributario, che non sempre porta esisti positivi per il contribuente.

Il contribuente, quindi, in caso di trasferimento di residenza all’estero deve provare di essersi trasferito all’estero ed in caso di Paese Black List, di non essere fiscalmente residente in Italia.

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